“UNA RELAZIONE SUL QUARTIERE COREA, OGGI”

Relazione ‘’Nitrato D’argento’’

Affacciarsi in Corea oggi, nel 2020, col presupposto di mettere il quartiere al centro di un’indagine sociale rappresenta una questione complessa: si rischia, anche in buona volontà, di facilitare una visione nostalgica, ideologica, irreale e talvolta autoreferenziale, così come si rischia di plasmare la nostra ricerca e d’indirizzarla verso i porti sicuri e le retoriche che conosciamo.

Mitizzare il passato e costruire una caricatura ideologica del presente sono due errori che non aiutano in alcun modo se si intende provare a capire e trasformare la realtà.

Questo non significa che ci sia un solo modo per portare avanti la comprensione della memoria del quartiere e della sua contemporaneità, perché ciò sminuirebbe la base valoriale che muove questo stesso progetto.

Abbiamo deciso di orientare la comprensione attraverso due strumenti, l’intervista discorsiva ed il questionario, sintetizzando il tutto attraverso un documentario che unisce l’esperienza individuale e le storie di vita delle persone con il contesto ambientale e sociale, indubbiamente importante e determinante.

I questionari sono stati somministrati direttamente e concretamente all’interno del quartiere nei vari punti di riferimento (e tra questi spicca un supermercato PAM, tutto un dire), interagendo con i ‘’coreani’’ nel bel mezzo delle varie attività quotidiane, mentre le interviste discorsive hanno reso protagonisti alcuni personaggi che volontariamente – attraverso annunci social e affissioni relative al nostro progetto- intendevano raccontare la loro vita nel quartiere assieme alle proprie percezioni sul cambiamento lungo la storia.

I due percorsi conducono a vie diverse: la prima è quella della conoscenza delle trasformazioni sociali e demografiche del territorio, la seconda è la possibilità di catturare sentimenti ed emozioni di chi Corea la vive e l’ha vissuta davvero, calando tutto in una normale conversazione.

La condizione del quartiere Corea negli anni 10’ e 20’ del ventunesimo secolo è caratterizzata da un’estrema marginalità non solo sul piano economico, ma anche su quello esistenziale e sociale: essa si presenta in una forma ampliata e diversa rispetto agli anni 60’ e 70’, dove l’analfabetismo, la mancanza di presidi sanitari (tutt’ora inesistenti), l’accesso dignitoso ad una casa e la povertà economica costituivano i problemi principali -contrastati in piccola parte solo da pratiche di solidarietà informale tra gli abitanti- di un quartiere popolare costruito nel dopoguerra per rispondere allo sfollamento ed alle esigenze delle classi lavoratrici (le ‘’case minime’’ -edifici in minima parte ancora presenti grandi dai 30 ai 40 metri quadri- sono un esempio.)

La solidarietà informale ed il lavoro sociale interno al quartiere si consolidano sicuramente come questioni principali se si vuole intercettare in modo più nitido la trasformazione che il quartiere ha avuto.

Il Villaggio Scolastico di Corea costruito da don Nesi dal suo arrivo nel 1962 a Livorno e la sua ininterrotta opera fino agli anni 80’ – che si delinea con molta facilità nei ricordi delle persone che abbiamo intervistato vissute nel quartiere tra gli anni 60 e 70-comprendente la casa dello studente, la biblioteca pubblica e la sala conferenze, era un vero e proprio motore dinamico del quartiere, oltre che un esempio del collante che teneva assieme diversi segmenti del territorio locale attraverso pratiche solidali.

Poi arrivano gli anni 90 e poco dopo il ventunesimo secolo, e quei meccanismi che rinforzavano il tessuto sociale, in linea con la condizione della città e del mondo più in generale, cominciano a non essere più presenti e saltano del tutto.

Il primo strumento urbanistico grazie al quale l’Amministrazione Comunale nel 1998 ha iniziato a ripensare l’assetto complessivo del quartiere è stato il Piano di recupero di Corea, nel quale l’area su cui si intendeva intervenire veniva integrata all’interno di un disegno complessivo di riorganizzazione del territorio circostante.

Sulla base di quanto previsto dal Piano di recupero, nel 1999 è stata redatta la proposta di Programma di recupero urbano “Contratto di Quartiere, approvato nel 2000 ed entrato concretamente in atto nel 2002.

Nel 2010 è stato possibile riprendere i lavori per la costruzione di altri 76 alloggi. 

Nello stesso periodo sotto la spinta di vari soggetti privati e dell’Amministrazione Comunale, è avvenuta la costruzione dell’immobile dove si trova il Centro Commerciale PAM e il nuovo Centro Civico, ove hanno sede la Circoscrizione 1 e il Laboratorio di Quartiere.

Il centro civico, con l’immenso valore ricoperto dalla circoscrizione (strumenti fondamentali di connessione tra la società civile e le amministrazioni locali) doveva formalmente essere un ‘’regalo’’ alla cittadinanza finalizzato alle attività di socializzazione e di aggregazione

, ma appare oggi come una compensazione per la costruzione dell’immenso eco mostro rappresentato dal centro commerciale.

I piccoli esercizi commerciali presenti attorno alla futura piazza furono in parte incorporati nell’apparato produttivo del nuovo centro commerciale, neutralizzando i piccoli negozi di quartiere.

È deprimente assistere al fatto che uno spazio pubblico diventi con il tempo solo un piccolo presidio per la polizia municipale ed una costola secondaria di un centro commerciale.

Piazza Saragat, inoltre, è una distesa grigia all’interno della quale compaiono per caso tre panchine altrettanto grigie, e questo è in linea con molteplici affermazioni compiute da coreani e non all’interno delle interviste discorsive e nei questionari: niente viene fatto per renderla viva e pulsante

La solitudine, la mancanza di solidarietà informale, l’abbandono delle politiche sociali attive e passive nel territorio, le difficoltà di convivenza tra persone della stessa classe sociale, il divario di conoscenze, strumenti e competenze tecnologiche del quartiere rispetto agli altri, la mancanza di vita nel quartiere, privo di un numero decente di spazi di aggregazione, sono alcune delle diramazioni dei problemi originari (se per esempio si tolgono le realtà come l’Associazione Nesi/Corea, Aeroc, la Caritas (da poco operativa nel quartiere con servizi di prima necessità)

o il Centro ‘’Zanni Andrea’’, gli unici spazi di socialità che rimangono sono ‘’l’accogliente’’ Piazza Saragat ed il parco Baden Powell).

La condizione di ‘’quartiere dormitorio’’, all’interno del quale non ci sono margini per ‘’tempi morti’’, pause, condivisioni, intervalli, incontri, scambi e associazioni, forzando una vita legata allo spostamento in funzione lavorativa e produttiva, è pienamente riscontrabile.

Se non ci si sposta in modo forzato per lavorare, allora si cade in un turbine ancora peggiore del precedente, perché le tutele nei confronti delle persone disoccupate (che tra gli/le over 18 intervistati/e sono il ) sono quasi inesistenti, visto che le integrazioni straordinarie di sostegno, la pensione sociale, la Naspi (difficile ottenerla quando si è lavorato a nero per qualche anno e si viene licenziati/e) ed il reddito di cittadinanza (misura parziale e inadatta, sia per la soglia del reddito stabilita, che per l’incapacità di fare richiesta in caso di condanna giudiziaria ed i possibili trasferimenti fuori dalla città di appartenenza nel corso dei mesi per lavoro) non sono in grado di evitare il rischio sociale.

Un reddito di base inclusivo, che nasca dalle contraddizioni del reddito di cittadinanza (al quale le persone migranti -che nel quartiere ricoprono il 9,6%, due punti percentuali in più rispetto alla media cittadina e che sono quasi tutti ‘’nuovi’’ abitanti- non possono fare richiesta, quindi quale povertà stiamo proteggendo?) costituirebbe sicuramente un modo migliore di interpretare il rapporto tra lavoro e tempo di non lavoro, fondamentale tema per Corea.

Queste caratteristiche rendono Corea molto simile ad altri due quartieri, la Leccia e la Scopaia.

È dalla considerazione della continuità del disagio e della marginalità (senza parlare di un passato radioso), così come dalla moltiplicazione delle tipologie di fenomeni di emarginazione da cui si deve partire se si vuole mettere al centro la vita degli abitanti del quartiere.

Sono lontani i tempi della consulta popolare del quartiere negli anni 60, anticipatrice di quelli che saranno poi i consigli di quartiere e successivamente le circoscrizioni.

Parliamo dell’età anagrafica: dal totale delle persone intervistate che vivono lungo il perimetro del quartiere si manifesta immediatamente un dato chiaro, Corea è un quartiere di anziani/e.

Il 45 % delle persone intervistate ha un’età superiore ai 60 anni, conoscono la storia di Alfredo Nesi con riferimento al villaggio scolastico di Corea in modo completo o parziale, ma non sono fiduciosi, almeno la maggioranza di loro, rispetto a pratiche simili riproducibili nel quartiere ‘‘oggi’’.

Le/i giovani sotto i 25 anni sono poche/i, nel quartiere sono invisibili se non in piccoli gruppi al parco Baden Powell o in modo ‘’seminascosto’’ dietro la Pam, il tempo che passano in Corea è essenzialmente quello in casa.

Dal punto di vista abitativo la riqualificazione è stata portata avanti in modo parziale, poiché sebbene una discreta parte del quartiere abbia subito interventi di ammodernamento e ristrutturazione nel corso degli anni -arrivando quasi ad azzerare il numero delle vecchie ‘’case minime’’-, esistono comunque delle evidenti criticità, in particolare in Via Gobetti ed in Via Amendola.

Questa considerazione emerge in modo lampante anche dalle interviste, all’interno delle quali, chi vive in un alloggio popolare o in emergenza abitativa (in particolare nelle vie sopracitate), dichiara di avere a che fare regolarmente con umidità, crepe, topi, mancanza di riscaldamento, strutturazioni delle stanze inadeguate e addirittura scorpioni.

L’asset abitativo rappresentava il focus centrale delle attività di riqualificazione portate avanti attraverso il programma di recupero ed il Contratto di quartiere: questa decisione ha posto inevitabilmente in secondo piano la questione del lavoro sociale, a quel tempo ancora sorretto in parte da un complesso di valori culturali che riuscivano in qualche modo a resistere allo sgretolamento delle reti welfare.

È da qui che è necessario partire: Corea necessita di sportelli e spazi di prossimità, presidi sociali e sanitari costanti, permanenti, dentro la rete sociale del territorio, non esterni e di controllo come con i ‘’vigili di quartiere’’.

Nessuna riqualificazione antidegrado o di illusoria partecipazione sarà utile, ciò che fa la differenza è la messa in discussione di un preciso modello di gestione periferica del quartiere, la riproduzione di progettualità e programmazioni a medio e lungo termine, una valorizzazione degli spazi pubblici (che nessuno pensi di trovare uno spazio d’ombra al Parco Baden Powell d’estate) e reti di solidarietà interne al quartiere.

Tutto ciò non si realizza attraverso proclami o caricature di una realtà che non esiste, così come non si crea con politiche standard preconfezionate e dettate dall’alto.

Serve immaginare e costruire il quartiere del domani, attraverso una complessa opera di rigenerazione che non trascuri niente, a partire proprio dal piano sociale che è stato dimenticato e trascurato dalla riqualificazione urbana degli ultimi decenni.

L’obiettivo è quello di favorire un nuovo patto sociale con gli abitanti e con le realtà del terzo settore esistenti, sfruttando anche gli strumenti a disposizione e forniti da alcune novità degli ultimi anni (la Riforma del Terzo Settore, il Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni urbani già a disposizione del Comune di Livorno) attraverso il quale sostenere e promuovere un circolo virtuoso fatto di corresponsabilità, coscientizzazione, co-gestione, protagonismo degli abitanti. Questo per contribuire anche a ri-generare e rafforzare un patrimonio comune fra vecchi e nuovi abitanti, fra diverse generazioni ed etnie, tenendo conto che una buona parte della popolazione che vive in Corea è nuova e vi risiede da pochi anni e questo non gioca a favore del senso di appartenenza e di una storia e di una memoria comune che possano aiutare processi di coesione, di sicurezze sociali e di ambizioni comunitarie.

Far emergere la storia del quartiere Corea, evidenziando i tratti distintivi di esperienze eccellenti a livello nazionale (e non solo) può aiutare, attraverso l’opera di conoscenza e di socializzazione di storie, narrazioni, testimonianze che in parte sono ancora attuali e utili per costruire scenari migliori e più adeguati alle sfide dei nostri tempi.

Livorno, 27 novembre 2020. A cura di Matteo del Mazza