Innovazione culturale e minoranze etniche: Il caso del progetto”I rom protagonisti si raccontano” dell’Associazione Don Nesi Corea

Innovazione culturale e minoranze etniche

Il caso del progetto I rom protagonisti si raccontano dell’Associazione Don Nesi/ Corea di Livorno

Relazione finale di Alessio Gurioli (matr. 819041)

Sommario

Introduzione 3

1. Note metodologiche 4

2. Innovazione culturale, esperienza e senso comune 5

2.1. Innovazione culturale e modernità riflessiva 5

2.2. Innovazione culturale, senso comune e vita quotidiana 6

2.3. Innovazione culturale e minoranze etniche 7

2.4. L’esperto come figura dell’innovazione culturale 8

3. Dati e informazioni sulle popolazioni rom e sinti 10

3.1. Le popolazioni rom e sinti in Italia e in Europa: un quadro generale 10

3.2. Leggi e numeri in Toscana 11

3.3. La presenza rom a Livorno 12

4. “I rom protagonisti si raccontano”: finalità e iniziative del progetto 14

5. “I rom protagonisti si raccontano”: gli aspetti innovativi del progetto 18

Conclusioni 22

Introduzione

Da ormai molti anni si è affermato in ambito sociologico il concetto di “innovazione culturale”, intendendo con questa espressione la capacità di una comunità di ridefinire la cornice simbolica e culturale attraverso cui vengono definiti e rappresentati i problemi e i rischi che caratterizzano le società contemporanee.

Il presente lavoro si pone l’obiettivo di indagare i processi di innovazione culturale a partire dalla questione relativa all’integrazione delle minoranze etniche, in particolare dei gruppi rom e sinti. Attraverso pratiche innovative, infatti, è possibile promuovere una cultura della convivenza e contrastare gli stereotipi e le immagini negative che colpiscono ingiustamente i gruppi minoritari. Inoltre, verrà approfondita la figura dell’esperto come costruttore di relazione interetniche e, più in generale, come promotore di innovazione culturale.

Vista la proficua collaborazione nell’ambito del Corso di “Sociologia dell’innovazione sociale”, l’Associazione Don Nesi/ Corea è stata nuovamente scelta come oggetto di studio ai fini della presente ricerca. L’Associazione Don Nesi/ Corea è un’associazione di volontariato a-partitica e a-confessionale che opera in uno dei quartieri più svantaggiati e marginali della città di Livorno, il quartiere Corea. L’Associazione nasce nel 2003, a seguito della morte di don Alfredo Nesi, parroco che, dagli anni ’60 agli anni ’80, ha avviato nel quartiere Corea, oltre che l’opera religiosa, anche l’esperienza del Villaggio scolastico di Corea. Il percorso di emancipazione socio-culturale avviato dal Nesi viene oggi portato avanti dall’Associazione che, attraverso le numerose attività socio-culturali e socio-educative, intende creare spazi di condivisione e di socialità nel quartiere Corea.

L’esperienza individuata per analizzare le pratiche di innovazione culturale è quella maturata dall’Associazione nell’ambito del progetto I rom protagonisti si raccontano, finalizzato da un lato a sfatare i falsi miti che circondano la popolazione romanì, e dall’altro lato a promuovere l’empowerement dei gruppi rom e sinti. La tecnica adottata per svolgere la ricerca è il focus group, a cui hanno partecipato il coordinatore del progetto e tre volontari.

Il lavoro si articola in cinque capitoli. Nel primo capitolo, di carattere metodologico, saranno avanzate alcune riflessione relative alla tecnica di ricerca adottata. Nel secondo capitolo verrà offerta una definizione di innovazione culturale e saranno presentati alcuni concetti utili per comprendere a fondo il fenomeno in questione (modernità riflessiva, senso comune, vita quotidiana). Nel terzo capitolo verranno presentate alcune informazioni statistiche circa la presenza di rom e sinti in Italia e in Europa. Nel quarto capitolo verranno descritti gli obiettivi e le principali iniziative svolte nell’ambito del progetto in esame. Nel quinto capitolo, infine, verranno presentati i risultati del focus group.

  1. Note metodologiche

Il presente lavoro si basa sui presupposti epistemologici e metodologici della ricerca qualitativa, in particolare la tecnica utilizzata per condurre la ricerca è il focus group. Con il termine “focus group” s’intende una discussione fra un piccolo gruppo di persone (dai 4 ai 10 partecipanti circa), alla presenza di uno o più moderatori, focalizzata su di un particolare argomento che si vuole indagare in profondità [Frisina 2010, Corrao 2002].

In questo caso, l’oggetto di studio è rappresentato dai processi di innovazione culturale, con particolare riferimento al ruolo dell’esperto nella promozione di pratiche innovative finalizzate all’integrazione di gruppi minoritari. Lo scopo della ricerca, in altri termini, è fare riferimento all’esperienza maturata dall’Associazione mediante il progetto I rom protagonisti si raccontano per analizzare le dinamiche dei processi di innovazione culturale e, in particolare, per studiare le pratiche innovative messe in atto dall’esperto per creare una società aperta e combattere gli stereotipi e i pregiudizi che circondano rom e senti.

Alla base della scelta del focus group come tecnica di ricerca vi è la volontà di favorire fra gli operatori dell’Associazione una riflessione critica sulle attività svolte nell’ambito del progetto I rom protagonisti si raccontano. In altri termini, l’obiettivo non è stato quello di chiedere a ogni singolo operatore di descrivere l’iniziativa a cui ha preso parte – il materiale messo a disposizione dell’Associazione, del resto, offre molte informazioni relative ad ogni singola attività – al contrario, a ciascun partecipante del focus group è stato chiesto di fare riferimento alla propria esperienza per discutere sugli aspetti innovativi del progetto. In questo modo, dunque, sono state tratteggiate in maniera collettiva le caratteristiche che devono essere possedute dall’esperto che intende promuovere azioni innovative, e sono state individuate un ventaglio di “pratiche virtuose” che rappresentano un modello di innovazione culturale per la promozione della convivenza interetnica.

Al focus group hanno partecipato quattro persone, il coordinatore del progetto e tre volontari. Due volontari hanno preso parte ai percorsi didattico-formativi all’interno delle scuole, mentre il terzo è il responsabile dell’Osservatorio permanente sui rom. La traccia del focus group si articola in due parti. La prima prevede come stimolo la lettura di un breve riassunto del Tentativo di decalogo per una convivenza interetnica di A. Langer per invitare i partecipanti a riflettere sugli aspetti innovativi delle pratiche di integrazione dei rom e sinti. La seconda parte, invece, prevede una discussione sugli stereotipi negativi che il senso comune costruisce intorno a rom e sinti.

      2.  Innovazione culturale, esperienza e senso comune

 

Il concetto di innovazione culturale ha assunto negli ultimi anni un’importanza sempre crescente all’interno della letteratura sociologica. Esso, infatti, offre una prospettiva utile per comprendere le trasformazioni sociali, economiche e culturali che caratterizzano le società contemporanee. In questo capitolo si cercherà di offrire una definizione di innovazione sociale. In particolare, dopo un breve excursus sul contesto storico-sociale entro cui è nato il concetto di innovazione sociale, da un lato verranno ripresi alcuni concetti della fenomenologia sociale per analizzare le principali caratteristiche dell’innovazione sociale, dall’altro lato verranno avanzate alcune riflessioni circa il rapporto fra innovazione culturale e minoranze etniche. Infine, sarà introdotta la figura dell’esperto come portatore di innovazione.

        2.1 Innovazione culturale e modernità riflessiva

Prima di elaborare una definizione di innovazione culturale, è necessario avanzare alcune riflessioni sul contesto storico-sociale in cui le pratiche di innovazione culturale nascono e si sviluppano. Per fare ciò, può essere utile fare riferimento alla teoria della modernità riflessiva proposta da U. Beck. Secondo Beck, è possibile distinguere due momenti della modernità: la prima modernità, o modernità lineare; e la seconda modernità, o modernità riflessiva. La prima modernità va dalla nascita del capitalismo industriale fino alla seconda guerra mondiale. In questa fase, l’espansione economica e lo sviluppo scientifico-tecnologico si dispiegano in tutta la loro virulenza grazie al supporto di modelli culturali stabili e persistenti.

Tuttavia, con l’avvento della seconda modernità, tale scenario muta radicalmente. A partire dagli anni ’50 e ‘60, infatti, si assiste al progressivo esaurimento di quelle risorse culturali che sono alla base della modernizzazione tecnico-scientifica. Se nella prima modernità l’appartenenza di ceto o di classe, le credenze religiose, i ruoli e le identità di genere avevano garantito un certo grado di integrazione sociale, nella seconda modernità vengono meno le appartenenze culturali e le strutture familiari su cui si regge il processo di modernizzazione. Lo sviluppo economico e scientifico, dunque, non si dispiega più all’interno di un quadro culturale stabile e persistente, bensì è costretto a confrontarsi con l’esaurimento sia delle risorse naturali che delle risorse culturali. Non potendo più attingere agli schemi culturali tradizionali per ammortizzare gli effetti destabilizzanti dell’espansione economica, la seconda modernità è chiamata a riflettere sul proprio modello di sviluppo: non più seguire la razionalità strumentale e rimediare agli effetti collaterali in un secondo momento, ma adottare una razionalità sociale al fine di valutare le conseguenze etiche, sociali e politiche di ciascuna azione.

Questa nuova fase della modernità è caratterizzata da incertezze incommensurabili e da un numero sempre più elevato di rischi legati al carattere complesso e difficilmente controllabile dello sviluppo economico e tecnologico – si pensi alla minaccia nucleare e al cambiamento climatico, alle crisi finanziarie e agli attacchi terroristici. Certamente ogni epoca storica ha conosciuto paure e incognite ben presenti e reali, ma ciò che contraddistingue la seconda modernità è la scomparsa della fiducia di poter ricercare la sicurezza su basi collettive. Di fronte a questo groviglio di paure e di incertezze, è necessario riconquistare un futuro e un orizzonte che sembrano spesso scomparsi, ossia creare dei veri e propri “antidoti” all’incertezza “esistenziale” che distorce la nostra percezione del vivere quotidiano.

Per tale motivo, non sono più sufficienti soluzioni di carattere esclusivamente tecnico-scientifico, in quanto l’insicurezza contemporanea necessita di una risposta in termini politici, ossia di una riflessione profonda che possa favorire la cooperazione e la collaborazione fra attori differenti, recuperando così quella dimensione collettiva che spesso viene perduta. Da qui deriva l’importante distinzione fra innovazione e invenzione. Mentre l’invenzione richiama l’idea della scoperta ed è legata agli aspetti tecnologici, l’innovazione (termine che deriva dalla parola latina novus, nuovo) rimanda a un modo “nuovo” per affrontare il problema, ossia a un cambiamento del quadro culturale entro cui viene definito il rischio. L’invenzione, dunque, può essere realmente utilizzabile soltanto se viene messo in moto un processo sociale e culturale in grado di ridefinire le rappresentazioni della realtà e trasformare la semplice scoperta in un’importante risorsa.

          2.2 Innovazione culturale, senso comune e vita quotidiana

I processi di innovazione culturale si inseriscono all’interno della modernità riflessiva descritta da Beck. Per affrontare i rischi che caratterizzano la seconda modernità non basta l’identificazione di soluzioni ad hoc, ma occorre un vero e proprio cambio di paradigma, in grado di riformulare il problema e le possibili risposte.

Adesso è necessario riflettere sulle modalità attraverso cui avviene il processo di innovazione culturale. Per fare ciò, si farà riferimento ad alcuni importanti concetti sviluppati nell’ambito della fenomenologia sociale: quello di senso comune e quello di vita quotidiana.

Il senso comune è l’insieme di credenze, giudizi, valori e rappresentazioni della realtà che orientano le azioni, i comportamenti e le aspettative di un certo gruppo sociale all’interno della vita quotidiana. In altri termini, esso è il modo di concettualizzare il mondo che dà la realtà per “scontata”, ossia che pone fra parentesi il dubbio che le cose possano stare diversamente da come appaiono. Per tale motivo, il senso comune, a differenza del pensiero scientifico, si sviluppa sulla base delle evidenze e non dei ragionamenti e delle argomentazioni logiche. Esso è di fondamentale importanza in quanto consente la formazione di routine e abitudini cognitive che consentono all’individuo di proteggersi dall’incertezza contemporanea; tuttavia, rappresenta un limite alla capacità di formulare nuove questioni e ridefinire le forme di rappresentazione della realtà, in quanto offusca il carattere processuale e dinamico del mondo sociale.

Partendo dalla definizione di senso comune offerta dalla fenomenologia sociale, l’innovazione sociale rappresenta la rottura e la riformulazione delle pratiche routinizzate, ossia può essere definita come quel processo che favorisce l’interruzione dell’atteggiamento che dà per scontati i contenuti e le forme della realtà. In altri termini, l’innovazione sociale mette in discussione il senso comune, generando in tal modo il dubbio e l’incertezza, ma anche la creatività necessaria per ridefinire in modo nuovo i rischi che caratterizzano le società contemporanee.

E’ importante sottolineare che la dimensione in cui agisce l’innovazione culturale è quella della vita quotidiana. La vita quotidiana è il mondo del dato per scontato, del familiare del non problematico; in altri termini, è l’ambiente entro cui si produce quell’ordine simbolico attraverso cui è possibile comprendere i processi di costruzione sociale della realtà. L’innovazione sociale, dunque, non avviene mediante azioni eccezionali o extra-ordinarie, ma si manifesta nella vita “di tutti i giorni” mediante pratiche in grado di spezzare la routine e costruire nuovi modi di rappresentare la realtà.

          2.3 Innovazione culturale e minoranze etniche

Alcune delle principali questioni che le società contemporanee sono chiamate ad affrontare sono quello legate all’immigrazione e, più in generale, alla convivenza fra culture e popoli differenti.

Le grandi trasformazioni socio-economiche avviate negli anni ’80 hanno determinato la ristrutturazione dei modelli di welfare delle società occidentali. Se durante il “trentennio glorioso” il sistema fordista basato sul modello dell’economia in scala aveva garantito agli immigrati un’occupazione stabile all’interno della grande industria, nelle società post-fordiste la crisi dei tradizionali sistemi di integrazione sociale ha generato processi di esclusione e emarginazione soprattutto ai danni delle etnie minoritarie.

In questa fase l’immigrazione si trasforma da questione economica a problema politico. Sempre più spesso lo straniero viene percepito come un “pericolo” per la società, e dunque come un soggetto da emarginare e da escludere dal resto della comunità. In ogni epoca storica, del resto, le insicurezze e i timori vengono trasferiti sullo straniero, che dunque diviene il capro espiatorio di ogni male che affligge la società.

Le pratiche di innovazione culturale rappresentano un vero e proprio “antidoto” all’ondata di intolleranza e di risentimento nei confronti dei gruppi minoritari. Promuovere processi di innovazione culturale in relazione all’integrazione delle minoranze etniche, infatti, significa trasformare in curiosità e interesse l’incertezza “esistenziale” che viene trasferita sui soggetti più deboli. In altri termini, è necessario non guardare lo straniero come un pericolo o una minaccia, ma occorre cogliere i vantaggi e le opportunità che offre una cultura della convivenza.

 2.4 L’esperto come figura dell’innovazione culturale

Le società contemporanee sono caratterizzate da un numero sempre più elevato di rischi altamente complessi. In questo scenario di forte incertezza, l’individuo moderno è chiamato ad acquisire quella capacità riflessiva attraverso cui guardare in modo nuovo agli effetti collaterali provocati dalla modernizzazione tecnico-scientifica. In questa prospettiva, per innovazione culturale s’intende l’insieme di pratiche mediante le quali, nell’ambito della vita quotidiana, i soggetti sospendono le credenze fondate sul senso comune e creano nuove rappresentazioni della realtà.

Resta adesso da chiarire chi sono i soggetti promotori di innovazione culturale. Nonostante siano molteplici i tipi di attori in grado di promuovere azioni innovative, in questa sede si farà essenzialmente riferimento alla figura dell’esperto. Per esperto non s’intende chi è portatore di un sapere specifico e tecnicistico, ma un soggetto che fa leva sulla propria esperienza per promuovere pratiche di innovazione culturale. L’esperienza nasce dal confronto fra il proprio vissuto e il senso comune. L’esperto, dunque, è colui che interiorizza i contenuti del senso comune per poi metterli in discussione attraverso il confronto con la propria esperienza. Egli, infatti, prende le distanze dal senso comune e si pone come esempio per rompere gli atteggiamenti routinizzati e costruire nuove tipizzazioni della realtà.

L’esperto gioca un ruolo di primo piano nella promozione di pratiche innovative finalizzate all’integrazione delle minoranze etniche. In particolare, ha il compito di de-costruire i pregiudizi e gli stereotipi negativi che ingiustamente circondano tali popolazioni. Questo aspetto assume una rilevanza centrale quando si parla di rom e sinti. Un recente studio dell’ISPI1, a tal proposito, mostra la scarsa conoscenza della popolazione autoctona rispetto alle minoranze romanì. Sebbene i rom in Italia non rappresentino più dello 0,2% della popolazione, ben il 35% degli intervistati è convito che i rom in Italia ammontino a quasi 2 milioni di persone. Inoltre, nonostante il nomadismo sia praticato da un’esigua minoranza di rom, l’84% del campione dichiara che i rom siano prevalentemente nomadi. Questa scarsa consapevolezza dell’effettiva consistenza numerica della popolazione rom è accompagnata da immagini negative e discriminatorie. Il 92% degli intervistati,

1. Citato nel Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia stilato curato dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica.

infatti, ritiene che i rom sfruttino i minori e che vivano di espedienti e furti, mentre l’83% sostiene che essi abitino per loro scelta in campi isolati dal resto della città. Da un sondaggio condotto a livello europeo, il 47% degli intervistati italiani ammette di essere “a disagio” con l’idea di avere un rom come vicino di casa, contro una media europea del 24%.

Questi dati mettono in luce la necessità di promuovere azioni in grado di offrire un “antidoto” al dominio del senso comune, attraverso la rottura e la riformulazioni delle tipizzazioni relative al mondo dei rom e sinti. In quest’ottica, l’esperto è colui che prende coscienza delle contraddizioni e elle inesattezze che caratterizzano le credenze legate ai rom e sinti e utilizza tale esperienza per costruire nuove rappresentazioni di tali minoranze etniche.

Tuttavia, il contributo dell’espero non si limita alla messa in discussione del senso comune della popolazione autoctona. Egli, infatti, opera anche al fine di modificare le strategie di gestione del quotidiano adottate dalle minoranze etniche. Il compito dell’esperto, dunque, non è soltanto quello di rompere gli atteggiamenti discriminatori istituzionalizzati nell’ambito della vita quotidiana, ma anche quello di aiutare i gruppi minoritari ad acquisire maggiore autonomia e consapevolezza, andando così a mettere in discussione, oltre che il senso comune tipico della popolazione autoctona, anche quello delle minoranze etniche.

        3. Dati e informazioni sulle popolazioni rom e sinti

In questo capitolo verranno offerte alcune informazioni statistiche relative alla presenza di rom e sinti in Italia e in Europa, con particolare riferimento alla presenza di rom in Toscana e a Livorno. Questo breve excursus di carattere quantitativo è assai utile per sfatare alcune credenze del senso comune legate al mondo rom e sinti.

      3.1  Le popolazioni rom e sinti in Italia e in Europa: un quadro generale

Dagli studi filologici condotti sulla lingua romanì, la cui struttura lessicale e sintattica proviene dal sanscrito, è stata dimostrata l’origine indo-iraniana delle popolazioni rom.

Le crisi economiche e politiche che colpirono l’India settentrionale provocarono, nel corso dei secoli, lo spostamento verso Ovest dei gruppi rom, i quali raggiunsero prima il Pakistan e la Persia, e in seguito la Turchia, la penisola balcanica, l’Est Europa e la Grecia. Proprio nella penisola ellenica, dove sono stati individuati i primi insediamenti degni di nota, ha origine il termine “zingaro” (derivante dalla parola greco medievale a-tsìnganoi). Per quanto riguarda l’Italia, i primi flussi migratori risalgono alla prima metà del XV secolo.

Per chiarire la presenza delle comunità rom in Europa, alcune recenti ricerche scientifiche hanno suddiviso il continente europeo in tre aree, le cosiddette “tre Europe zingare”. La prima Europa zingara, costituita dai paesi dell’Europa orientale e della penisola balcanica, è la zona con maggior concentrazione di comunità rom e sinte: ben il 61,5% della popolazione “zingara” europea, infatti, risiede nell’Est Europa. In queste regioni, inoltre, la percentuale di rom rispetto alla popolazione totale oscilla fra il 4% e l’11% (in particolare, in Romania i rom rappresentano l’8% della popolazione, mentre in Bulgaria l’8,5%). La seconda Europa, invece, comprende i paesi dell’Europa occidentale (Spagna, Francia, Portogallo, Irlanda…) ed ospita circa il 30% dei gruppi rom presenti nel vecchio continente. In questa zona la percentuale di presenza rom varia dallo 0,5% della Francia all’1,5% della Spagna. Infine, nella terza Europa, costituita dai paesi dell’Europa centrale (Italia, Germania…), risiede meno del 10% della popolazione rom europea e la presenza di rom rispetto alla popolazione totale non supera lo 0,2% (in Italia tale percentuale oscilla fra lo 0,1 e lo 0,2).

È importante precisare che uno dei principali problemi con cui ci si scontra nell’affrontare le questioni che riguardano le popolazioni rom è quello relativo all’assenza di informazioni statistiche sicure e attendibili. Questo gap non è una specificità italiana ma è anzi una difficoltà comune a gran parte dei paesi europei. Non esistono, infatti, dati certi sul numero di rom presente in Italia e in Europa, sul loro livello di istruzione e di disoccupazione, sull’aspettativa di vita e sulla mortalità infantile, sulla situazione abitativa e sul tasso di disoccupazione, sulla percentuale di stranieri e apolidi, sull’accesso ai servizi socio-sanitari, sul reddito medio e il grado di integrazione.

In assenza di dati precisi, si stima che nella sola Europa risiedano fra i 12 e i 15 milioni di rom. La stima della consistenza numerica delle popolazioni rom e sinte presenti in Italia oscilla fra 130.000 e 170.000 persone (una cifra irrisoria se confrontata con quella di paesi come la Romania, dove vivono oltre 2 milioni e mezzo di rom).

La difficoltà nel reperire dati certi sui rom risiede principalmente nelle strategie mimetiche che tali gruppi adottano al fine di essere assimilati al resto della popolazione. Non è un mistero, infatti, che dichiararsi rom o sinti, da un punto di vista delle strategie individuali, non sia conveniente, visti i pregiudizi e gli stereotipi che accompagnano, nell’opinione comune, queste popolazioni. Inoltre, non esistono elementi comuni, come la cittadinanza, la lingua o la religione, che possano in qualche modo facilitare l’identificazione delle persone rom. Molti rom o sinti, infatti, sono apolidi o possiedono la cittadinanza del paese in cui vivono (nel nostro paese circa la metà delle persone rom ha la cittadinanza italiana); la lingua romanì, poi, non è parlata da tutti i rom e sinti e non esiste una fede comune. Persino i costumi e le tradizioni culturali variano molto a seconda delle traiettorie migratorie. Neanche il nomadismo, da sempre ritenuto un tratto distintivo delle popolazioni rom e sinti, può essere considerato un valido criterio con cui attribuire l’appartenenza all’etnia rom. Le trasformazioni sociali e economiche dell’ultimo secolo, infatti, hanno determinato la scomparsa o il drastico ridimensionamento di molte delle attività che erano alla base del nomadismo. Attualmente, circa il 90-95% della popolazione rom europea è sedentaria e in Italia si stima che solo il 30% dei rom sia nomade.

     3.2  Leggi e numeri in Toscana

Sono circa 3000 i rom e i sinti presenti in toscana, 1300 dei quali vivono in insediamenti autorizzati e circa 600 dei quali in aree non autorizzate.

I campi nomadi presenti nella regione sono stati l’esito di differenti fasi migratorie. La prima fase, iniziata alla fine negli anni ’80 e consolidatasi negli anni ’90, ha interessato gruppi rom provenienti dalle regioni dell’ex Jugoslavia, in particolare dal Kosovo e dalla Macedonia. Una seconda fase, invece, inizia nei primi anni 2000 (con un picco tra il 2005 il 2007), quando nuovi flussi migratori di rom giungono dalla Romania.

Attualmente meno di 1300 persone vivono nei campi nomadi. Con la legge regionale 17/88 la Regione finanzia e sostiene i Comuni che intendono attrezzare aree per il transito e la sosta dei rom. Nella maggior parte dei casi, i luoghi destinati ad ospitare gruppi rom e sinti sono ex discariche o ritagli di terreno al bordo di ferrovie o autostrade. Con la nuova legge regionale 73/95 scompare il termine “campo nomade” (sostituito dall’espressione “area residenziale di comunità”) e vengono realizzate nuove soluzioni residenziali per famiglie rom nucleari e multiple. Infine, la legge regionale 2/2000 prevede nuove alternative per il superamento dei “campi nomadi”, in particolare attraverso l’utilizzo o il recupero di strutture abitative di diversa natura (alloggi sociali, alloggi ERP, edifici pubblici o privati inutilizzati, soluzioni abitative realizzate o reperite dai rom stessi…).

Nonostante i molti risultati raggiunti, l’impopolarità degli interventi a favore dei rom e sinti ha spinto le politiche abitative adottate dalla Regione e dalle amministrazioni locali verso una logica sempre più contenitiva, finalizzata all’emarginazione e all’allontanamento di questa minoranza etnica. In molti casi, infatti, le soluzioni abitative vengono localizzate in luoghi inadatti e poco attrezzati. Alla scarsa qualità della vita, inoltre, si aggiunge l’incertezza della permanenza e il timore degli sgomberi.

      3.3  La presenza rom a Livorno

La difficoltà di quantificare la presenza di rom emerge anche nel territorio livornese. Secondo la ricerca condotta del Centro Mondialità e Sviluppo Reciproco (CMSR) a Livorno risiedono circa 70 rom, mentre altre fonti affermano che tale cifra oscilli fra 120 e 140.

In ogni caso, la popolazione rom presente sul territorio livornese può essere suddivisa in due categorie. Il primo gruppo, composto da circa 50-60 persone, ha raggiunto un buon percorso di integrazione e, in generale, convive con le abitudini e con le norme locali e nazionali. La maggior parte di loro proviene dalle regioni dell’ex Jugoslavia e risiede a Livorno da ormai molti anni, tanto che la maggioranza dei minori è nata in Italia. Le famiglie sono assai numerose e vivono prevalentemente in appartamenti di edilizia residenziale popolare (ERP); la maggior parte degli adulti lavora o è in cerca di un’occupazione, mentre i bambini frequentano il percorso scolastico obbligatorio. I rapporti con le associazioni di volontariato presenti sul territorio (in particolare la Caritas) sono ottimi e di lunga durata, mentre le interazioni con il resto della città sono praticamente assenti. Il progetto promosso dall’Associazione don Nesi / Corea si è rivolto prevalentemente ai membri di questa comunità.

Il secondo gruppo è composto da circa 30-40 rom, provenienti prevalentemente dalla Romania, che alternano la presenza a Livorno con soggiorni presso altre città italiane o nel paese di origine. La maggior parte di loro vive di espedienti, alloggia in strutture abitative precarie e fatiscenti e sopravvive grazie all’elemosina e all’aiuto di alcune associazioni di volontariato. L’Associazione ha tentato di coinvolgere questo gruppo persone nelle attività promosse all’interno del progetto ma, sebbene non siano mancati momenti di confronti e di interazione, i risultati sono stati piuttosto scarsi. Questa popolazione, infatti, è per lo più “invisibile” ai servizi sociali e sfugge alle rilevazioni statistiche.

È importante precisare che l’Associazione denuncia una crescente riduzione delle risorse stanziate dall’amministrazione comunale a favore dei gruppi rom. Ciò è dovuto da un lato dalla riduzione dei finanziamenti e dei contributi economici da parte del Governo e della Regione, dall’altro dalla crescente povertà e precarietà sociale che ha coinvolto una parte sempre più cospicua della cittadinanza livornese autoctona.

4.  I rom protagonisti si raccontano”: finalità e iniziative del progetto

A partire dalla teoria della modernità di Beck e dal contributo della fenomenologia sociale, è stata elaborata una definizione di innovazione sociale ed è stata tratteggiata la figura dell’esperto come promotore di innovazione, soprattutto in relazione all’integrazione delle minoranze etniche e, in particolare, dei gruppi rom e sinti. In questo capitolo l’attenzione verrà focalizzata sul progetto I rom protagonisti si raccontano promosso dall’Associazione don Nesi / Corea, facendo in particolare riferimento alle principali attività avviate nell’ambito di tale iniziativa e agli obiettivi finali che essa intende raggiungere

L’Associazione Don Nesi / Corea ha da sempre promosso attività e iniziative finalizzate a favorire l’integrazione della popolazione rom presente sul territorio livornese e, più in generale, a contrastare gli atteggiamenti xenofobi nei confronti del popolo romanì. In particolare, la necessità di avviare un percorso culturale e didattico-formativo in grado da un lato di allontanare gli stereotipi e i pregiudizi che circondano le minoranze etniche e dall’altro di promuovere la conoscenza e la cultura dei rom si è manifestata a seguito di un tragico avvenimento accaduto nell’agosto 2007. Durante l’incendio di una capanna nella periferia industriale di Livorno, infatti, persero tragicamente la vita quattro bambini rom tra i 4 e i 12 anni.

Il progetto I rom protagonisti si raccontano, finanziato dal Fondo Nazionale del Volontariato, è iniziato ad aprile 2016 ed è terminato a marzo 2017. Fra i partner del progetto ricordiamo il Comune di Livorno e il Centro Mondialità e Sviluppo Reciproco (CMSR). I capisaldi delle iniziative promosse dall’Associazione sono essenzialmente due. In primo luogo, l’Associazione intende promuovere la conoscenza della cultura e della storia della popolazione rom attraverso l’incontro con il loro mondo, con i loro usi e costumi e con la loro quotidianità. Lo scopo principale, infatti, è da un lato quello di abbattere gli stereotipi e i pregiudizi che alimentano comportamenti xenofobi e discriminatori, e dall’altro quello di promuovere una campagna di informazione/sensibilizzazione in grado di costruire una narrazione sui rom più vicina alla realtà.

In secondo luogo, l’Associazione intende realizzare forme di emancipazione e di empowerment della popolazione romanì attraverso iniziative in grado di favorire la responsabilizzazione di questi soggetti, di aumentare la loro possibilità di ottenere redditi mediante le loro capacità e abilità e di incentivare la loro autonomia e indipendenza in un’ottica di reinserimento sociale. Ciò è di fondamentale importanza al fine di favorire l’integrazione delle minoranze rom sul territorio livornese, ossia per promuovere forme di interazione e di reciprocità che facciano sentire gli stessi rom parte di un tessuto sociale più ampio.

In relazione a quest’ultimo aspetto è importante sottolineare un altro elemento, relativo al coinvolgimento diretto della minoranza rom. Da spettatori passivi, infatti, i rom divengono protagonisti attivi del percorso di emancipazione e delle attività a loro destinati. In tutte le fasi del progetto, a partire da quello di progettazione, il ruolo dei rom è stato di fondamentale importanza in quanto ha consentito di calibrare ogni azione in base ai loro bisogni, alle loro esigenze e alle loro aspettative. Questo cambio di paradigma risulta estremamente innovativo rispetto alla prassi adottata dalle istituzioni. Nella maggior parte dei casi, infatti, rom e sinti non vengono interpellati su quanto viene deciso per loro; essi vengono considerati un semplice oggetto di provvedimento e non soggetti dotati di autonomia e diritti in grado di promuovere la propria auto-liberazione.

Il progetto, circoscritto al Comune di Livorno, prevede un ampio ventaglio di azioni e iniziative (la tabella 3 riassume le diverse attività e gli specifici obiettivi che intendono raggiungere). Vale la pena dedicare un po’ di spazio alle iniziative maggiormente significative.

Una delle esperienze più interessanti è sicuramente quella relativa all’Osservatorio permanente sui Rom. Lo scopo dell’Osservatorio è quello di condurre un’indagine sulla rappresentazione delle persone rom e sinti nella stampa livornese. Alla base di tale lavoro vi è l’ipotesi che i mezzi di comunicazione di massa contribuiscano in maniera rilevante alla costruzione culturale delle immagine avverse e degli stereotipi negativi legati ai rom. In altri termini, i mass media, e in particolare la stampa, offrono agli spettatori schemi di pregiudizio che influenzano in maniera negativa la percezione sui rom. L’Osservatorio, dunque, attraverso la raccolta e l’analisi di numerosi articoli giornalistici provenienti dalle principali testate giornalistiche locali, intende svelare i meccanismi attraverso cui vengono proiettati schemi di pregiudizio che spingono le persone ad assumere comportamenti discriminatori nei confronti della popolazione romanì. La consapevolezza riguardo le distorsioni sulla rappresentazione sociale dei rom, secondo l’Associazione, dovrebbe da un lato indurre i giornalisti e i lettori verso una maggiore attenzione nei confronti degli schemi di pregiudizio trasmessi dai media, e dall’altro invitare le persone a costruire un’immagine dei rom più vicina alla realtà.

Un’altra attività di punta del progetto è stata la realizzazione dei percorsi didattici-formativi all’interno delle scuole cittadine. In particolare, hanno partecipato all’iniziativa nove classi (seconda, terza e quarta elementare, terza media, seconda, terza e quarta superiore). In generale, l’attività si è articolata in un ciclo di tre incontri frontali per classe, che hanno avuto come coordinatori, oltre al docente, due operatori e un ragazzo in servizio civile presso l’Associazione. Il primo incontro, strutturato in egual modo per ogni classe di ordine e grado, ha avuto lo scopo di far emergere il pensiero e le conoscenze che i ragazzi hanno riguardo al popolo rom. In generale, sia i ragazzi più gradi sia quelli più piccoli hanno mostrato una percezione alterata e in alcuni casi distorta della popolazione rom. Come hanno ammesso gli studenti stessi, infatti, la loro conoscenza sui rom e sinti si è formata prevalentemente “per sentito dire” e senza alcuna esperienza personale o approfondimento sul tema. Il secondo e il terzo incontro, visto le sensibili differenze fra i partecipanti ai laboratori, sono stati organizzati con un diverso approccio metodologico: nelle scuole elementari è stato privilegiato l’aspetto ludico, mentre nelle scuole medie e superiori è stato dato maggior spazio al confronto e al dibattito. In entrambi i casi, lo scopo è stato quello di invitare gli studenti a una riflessione critica e profonda riguardo alle condizioni di vita della popolazione rom e, più in generale, far prendere ai ragazzi consapevolezza dei numerosi stereotipi e pregiudizi che ruotano intorno al mondo dei rom.

I risultati ottenuti mediante il progetto, tuttavia, sono stati inferiori alle aspettative. Attraverso il lavoro all’interno delle scuole è stato possibile, per dirla con le parole dei partecipanti al focus group, gettare il “seme” per la costruzione di una società aperta alla convivenza interetnica, rendendo i ragazzi maggiormente consapevoli delle reali condizioni di vita di rom e sinti; tuttavia, maggiori difficoltà sono state riscontrate nella promozione dell’empowerement dei gruppo romanì. In alcuni casi le azioni promosse dall’Associazione non rispondevano alle esigenze e alle aspettative di rom e sinti, in altri casi i rom stessi hanno declinato l’invito a partecipare alle diverse iniziative. Come denuncia l’Associazione, il principale punto debole del progetto è stata l’incapacità di fare rete con le altre associazioni presenti sul territorio. Sebbene l’Associazione abbia tentato di coinvolgere nel progetto altre realtà operanti nel mondo del volontariato, ben poche hanno accettato di collaborare. Ciò rappresenta un aspetto non trascurabile, in quanto l’esito positivo dell’innovazione è subordinata alla capacità degli attori di fare rete.

 

Tabella 1. Elenco delle attività e iniziative svolte nell’ambito del progetto I rom protagonisti si raccontano.

Attività

Obiettivo specifico

Promozione, pubblicità, coinvolgimento dei rom

Diffondere e promuovere i progetto e coinvolgere i rom come destinatari e protagonisti delle diverse attività.

Corso di formazione per mediatori culturali rom

Offrire ai rom strumenti, competenze e capacità per rappresentare se stessi e promuovere la propria emancipazione.

I rom si raccontano

Far conoscere i rom attraverso videoclip e documentari auto-prodotti.

Osservatorio permanente sui rom

Campagna di informazione per rivelare la comunicazione denigratoria ai danni dei rom.

Biblio-videoteca RomAntica cultura

Promuovere e diffondere la cultura romanì.

Cultura RomA

Promuovere incontri e occasioni di conoscenza del mondo e del popolo romanì.

Corso di danza gitana

Promuovere la conoscenza delle tradizioni culturali romanì.

Sportello per i rom

Attività di consulenza/accompagnamento al fine di promuovere la conoscenza dei servizi destinati ai rom e il loro corretto utilizzo.

Percorsi didattici-formativi nelle scuole

Far conoscere la cultura e la storia romanì all’interno delle scuole e invitare i ragazzi a riflettere sugli stereotipi negativi legati ai rom.

Rom e livornesi in festa

Feste per promuovere momenti di condivisioni fra persone di diverse etnie.

Rom&bus

Esibizioni musicali di artisti rom sui mezzi pubblici locali e in alcune piazze della città.

 

   5.   “I rom protagonisti si raccontano”: gli aspetti innovativi del progetto

In questo capitolo, assumendo come prospettiva teorica la definizione e le caratteristiche dell’innovazione culturale, si cercherà di analizzare l’esperienza maturata dall’Associazione nell’ambito del progetto I rom protagonisti si raccontano.

Come si è detto (vedi capitolo 1), la prima parte del focus group prevede una discussione sulla natura innovativa degli interventi promossi dall’Associazione. Ai partecipanti è stata proposta la lettura di un breve riassunto del Tentativo di decalogo per una convivenza interetnica di Alexnder Langer, noto scrittore e giornalista altoatesino. Il Tentativo di decalogo rappresenta un elenco di princìpi e di massime fondamentali per la promozione della convivenza interetnica e la creazione di una società aperta e multiculturale. Ai partecipanti è stato chiesto di scegliere uno o due punti dell’opera di Langer e di commentarli in relazione a un’iniziativa promossa all’interno del progetto. Lo scopo di questo primo “esercizio” e stato quello di innescare una discussione attraverso cui far emergere la portata innovativa delle attività promosse, con particolare riferimento al ruolo dell’esperto come promotore di innovazione.

Dal dibattito fra i partecipanti, il punto 3 dell’opera di Langer emerge con maggior forza rispetto agli altri. Esso pone l’attenzione sull’importanza della comunicazione e dell’interazione per la costruzioni di relazioni interetniche. A tal proposito, il coordinatore del progetto di ricerca afferma:

Conoscersi, parlarsi, informarsi e interagire: questa è la sfida che abbiamo davanti quando parliamo di convivenza interetnica e di necessità di far sì che le nostre città e i nostri quartieri siano più vivibili e meno caratterizzati da tensioni e paure. Il miglior antidoto è questo: conoscere la persona. E come progetto devo dire che questo tutto sommato lo abbiamo fatto, nel senso che le iniziative per far conoscere le tradizioni, per far conoscere un po’ meglio i rom, sono state realizzate.

Per costruire una società aperta e multiculturale, dunque, è necessario che persone appartenenti a sistemi culturali e valoriali differenti s’incontrino e scambino idee, costumi e tradizioni. Soltanto attraverso l’interazione e la conoscenza reciproca è possibile vincere la paura e la diffidenza nei confronti di chi è a noi estraneo: “più avremo a che fare gli uni con gli altri, meglio ci comprenderemo”. L’elemento della comunicazione risulta un aspetto di fondamentale importanza per la promozione di pratiche innovative. Se infatti l’innovazione culturale rappresenta la messa in discussione delle rappresentazioni della realtà formatesi nel corso della routine quotidiana, soltanto attraverso nuove conoscenze è possibile rompere il senso comune e costruire nuove tipizzazioni. In altri termini, se gli stereotipi e le immagini negative che circondano ingiustamente rom e sinti si sedimentano nell’immaginario collettivo mediante il “sentito dire” e senza una conoscenza di prima mano di tali popolazioni, soltanto entrando in contatto diretto con i gruppi romanì è possibile riformulare i nostri giudizi e mettere in discussione gli stereotipi che da sempre abbiamo dato per scontati.

L’importanza dell’interazione e dell’incontro fra differenti culture emerge soprattutto all’interno delle scuole. Come sottolinea una volontaria che ha preso parte alle attività all’interno delle scuole:

All’interno delle elementari abbiamo avuto la possibilità di fare con i bambini più piccoli dei giochi interculturali, perché queste classi erano formate al 70, 80 per cento da bambini con etnie differenti. Si andava a toccare ogni paese. E mi sono accorta che quei bambini che avevano la possibilità di conoscere etnie differenti dalla loro erano molto più predisposti a l’accoglienza dell’altro.

Un altro punto del decalogo che emerge con particolare forza è il numero 1. Il primo punto dell’opera di Langer afferma che la convivenza pluri-etnica deve essere percepita come un arricchimento ed un’opportunità piuttosto che come un ostacolo e un pericolo. Per riflettere su tale aspetto è utile fare riferimento alle parole del responsabile dell’Osservatorio permanente sui rom:

Il punto uno enfatizza il dare valore agli aspetti positivi della convivenza, e nel nostro percorso quasi casualmente è emersa l’opportunità di dare ad una ragazza la possibilità di insegnare un corso di danza gitana. E mi è venuto subito in mente quando i primi cinesi che venivano in Italia hanno sfruttato la cucina per addentrarsi dentro la nostra società. Effettivamente potrebbe essere una pubblicità i uno stereotipo, però è pur sempre uno stereotipo positivo.

Questa citazione riassume efficacemente il significato di innovazione culturale. Lo scopo delle azioni innovative, infatti, è quello di mettere in discussione le rappresentazioni della realtà costruite dal senso comune al fine di formulare nuove tipizzazioni attraverso cui guardare in modo nuovo allo stesso problema. Come sottolinea il volontario, non si tratta di eliminare ogni forma di stereotipo o di rappresentazione, ma significa sostituire le immagini “negative” che sono legate ai rom e sinti con immagini “positive”. L’obiettivo non è certo quello di “sacralizzare” i gruppi romanì, ma quello di proporre una narrazione meno distorta e più vicina alla realtà.

Il corso di danza gitana citato dal volontario rappresenta una delle numerose attività svolte all’interno del progetto. Grazie alle lezioni, a cui hanno partecipato sia ragazze rom che ragazze italiane, è stato possibile creare momenti di condivisione e di scambio fra culture diverse. Il corso, dunque, ha offerto ai partecipanti di entrambe le etnie la possibilità di conoscersi e di imparare qualcosa di nuovo, mostrando come la cultura romanì, nonostante le immagini negative che la circondano, possa essere fonte di arricchimento anche per la popolazione autoctona.

Il dibattito sul decalogo di Langer ha permesso di riflettere anche sulla figura dell’esperto come portatore di innovazione. A tal proposito, commentando l’ottavo punto del testo di Langer relativo all’importanza del mediatore culturale, una volontaria che ha operato nelle scuole sostiene:

Io mi sono vista come un mediatore, come un costruttore i ponti. Perché noi abbiamo lanciato dei segnali, dei semi, per far conoscere a loro qualcosa che prima non sapevano. Quindi venendo a conoscenza di determinate informazioni, nozioni o storie … alcuni sì, sono rimasti diffidenti, ma altri sono rimasti positivamente colpiti e anche incuriositi.

Il compito dell’esperto, in questo caso del mediatore culturale, è quello di “costruire ponti”, ossia di mettere a confronto prospettive e visioni del mondo differenti al fine di favorire la costruzione di nuove rappresentazioni della realtà. Tuttavia, per fare ciò è necessario che il mediatore prenda le distanze dagli stereotipi del senso comune e dalle tipizzazioni che si sedimentano nell’immaginario collettivo. Come sottolinea il coordinatore del progetto:

Il mediatore interculturale deve togliere i propri vestiti, le proprie certezze e intervenire all’interno di quelle “zone grigie”, cioè quelle aree di confine, che sono quelle dove maggiormente possono essere costruite queste pratiche di prossimità e di convivenza.

Le “zone grigie” sono quelle fasce di popolazione dove l’appartenenza etnica è sfuocata e le distinzioni culturali non ancora nette e ben marcate. È proprio nei contesti dove si creano tali condizioni, infatti, che è possibile promuovere pratiche innovative in grado di sollecitare la curiosità e l’interesse nei confronti della cultura dell’altro.

Dal dibattito emerge inoltre la necessità di non affrontare la questione della convivenza fra culture differenti facendo esclusivamente riferimento alla dimensione etnica. Come sottolinea lo stesso Langer, infatti, è necessario prestare attenzione ad altre dimensioni come quella del genere e della posizione sociale. Attribuire ad un individuo o un gruppo un’identità sociale esclusivamente su base etnica comporta come rischio quello che Sen chiama “miniaturizzazione dell’individuo”, ossia classificarlo in base ad un unico criterio. Dare una definizione unilaterale di rom e sinti, dunque, significa sottovalutare le importanti differenze che si affermano all’interno della stessa minoranza etnica.

A tal proposito, il coordinatore del progetto sostiene:

Chiudere e circoscrivere i rom a una dimensione etnica è quanto mai di più sbagliato che si possa fare. Perché parlare di “zingari” o rom come se fossero un monolite, un gruppo unico, è l cosa che ci porta veramente più lontano dalla realtà … il primo torto che facciamo, soprattutto attraverso la condivisione delle letture mediatiche, è quello di definirli come se fossero un tutt’uno.

Nell’ultima parte del focus group, infine, l’attenzione è stata spostata sulla dimensione del senso comune e sugli stereotipi che vengono attribuiti a rom e sinti. Dal dibattito all’interno delle scuole elementari e superiori, così come dall’analisi degli articoli giornalistici condotta dall’Osservatorio permanente sui rom, emerge un’immagine decisamente negativa di queste popolazioni: i rom sono “sporchi”, delinquono e sopravvivono grazie a elemosina ed espedienti. Il responsabile dell’Osservatorio permanente sui rom, inoltre, pone l’accento sulla questione del nomadismo:

Un termine che viene sottovalutato ma che invece è molto importante è il termine “nomade”. Questo termine sembra innocuo ma utilizzare il termine “nomade”, cosa anche scorretta, perché solo una piccolissima parte di loro è ancora nomade, scusa il fatto di poterli ghettizzare, metterli nei campi nomadi, perché non vogliono integrarsi, perché sono di un altro genere rispetto a noi. Si parla tanto di questi campi nomadi ma i nomadi non ci sono.

L’obiettivo del progetto è stato quello di promuovere la conoscenza della popolazione romanì e costruire una narrazione più coerente con la realtà. Come si è detto, tuttavia, ciò non significa “sacralizzare” i gruppi rom e sinti. A tal proposito, si consideri la seguente affermazione:

Dagli incontri fatti quest’anno li ho trovati di un’ingenuità disarmante, quasi fanciullina. Probabilmente lì c’è la loro cifra, e anche le difficoltà che hanno di confrontarsi e inserirsi all’interno di società organizzate e gerarchizzate.

Il compito del mediatore culturale, dunque, non è soltanto quello di combattere i pregiudizi, bensì consiste anche nell’aiutare le minoranze etniche ad assumere una maggiore consapevolezza delle proprie capacità ma anche dei propri limiti.

 

Conclusioni

Le pratiche innovative hanno come obiettivo quello di rompere gli atteggiamenti e le credenze costruite dal senso comune in modo tale da costruire nuove rappresentazioni della realtà e guardare in modo nuovo i rischi che occorrono nelle società contemporanee.

L’implementazione delle azioni innovative è di fondamentale importanza per la promozione di una cultura della convivenza fra etnie differenti. In quest’ottica, favorire l’innovazione culturale significa percepire lo straniero non più come un problema o come una minaccia, ma guardare con curiosità e interesse la cultura dell’altro. In particolare, le azioni innovative rappresentano un ottimo “antidoto” per i pregiudizi che si sedimentano nel corso della vita quotidiana, favorendo la costruzione di nuove tipizzazione, ossia, per riprendere le parole di un partecipante al focus group, sostituendo stereotipi “negativi” con stereotipi “positivi”.

L’esperto gioca un ruolo centrale nei processi di innovazione culturale. In questo caso, la figura dell’esperto può essere associata al mediatore culturale. Come emerge dal focus group, il compito principale dell’esperto è quello di costruire “ponti” fra culture diverse, ossia di favorire lo scambio e la comunicazione. Per combattere gli stereotipi negativi, infatti, è necessario fare esperienza dell’altro ed avere una conoscenza diretta delle tradizioni e della cultura delle minoranze etniche.

Le iniziative proposte nell’ambito del progetto I rom protagonisti si raccontano, infatti, hanno come obiettivo quello di mostrare l’infondatezza di molti miti che circondano la popolazione romanì, suscitare curiosità e interesse nei confronti di una cultura spesso disprezzata e osteggiata, promuovere la comunicazione e lo scambio fra culture differenti. In definitiva, il progetto I rom protagonisti si raccontano, sebbene non abbia completamente raggiunto gli obiettivi desiderati, rappresenta un modello per la promozione di innovazione culturale.

Bibliografia

Corrao S., Il Focus Group, FrancoAngeli, Milano, 2008;

Frisina A., Gocus group: una guida pratica, Il Mulino, Bologna, 2010;

Guerrini M., Montecchiari V., Venturini V. (a cura di), RomAntica cultura. Invisibilità ed esclusione del popolo rom, Cesvot, Firenze, 2012;

Langer A., Tentativo di decalogo per una convivenza inter-etnica, 1994

Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia, Senato della Repubblica, Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, 2011 (disponibile al sito www.senato.it)